POSSIAMO SALVARE CODAMOZZA?

So per certo che tutte le informazioni che mi accingo a scrivere sono sensate e accreditate, eppure spero con tutto il cuore che qualcuno sia in grado di darmi torto.

Curo la pagina Facebook dell’Istituto Tethys, organizzazione non-profit per la ricerca e la salvaguardia dei cetacei, di cui faccio parte da oltre 30 anni. Mai come in questi giorni mi scrivono, commentano, implorano: possibile che non fate niente per Codamozza, la balenottera comune rimasta con uno spaventoso moncone al posto della pinna caudale e che da mesi gira per il Mediterraneo,? E’ magra ed emaciata, probabilmente alla disperata ricerca del krill che sembra avere difficoltà ad andare a inghiottire in profondità. Conosco Codamozza fin dal 2005, quando mi apparve, proprio di fianco alla barca, tirando fuori la coda che già allora era menomata di quasi tutto un lobo, ma che allora le consentiva evidentemente ancora una vita normale.

Cosa si può fare? Ecco le risposte più logiche.

Applicare una protesi?

E’ stato fatto con un delfino e, credo, sia stato fatto anche un film. Ma si trattava di un animale in cattività, quindi un ambiente controllato. Con Codamozza il problema non è tanto costruire la protesi, mi dicono che forse è fattibile in 3D, ma come applicargliela?

Bisognerebbe innanzitutto avere una vasca in grado di ospitare un animale di 20 metri di lunghezza, che oltretutto è abituato a muoversi. L’alternativa potrebbe essere una zona di mare recintata. Ma anche ammesso di disporre di una struttura o zona adatta resterebbe il problema di come portarcela.

Catturare un cetaceo che può pesare 40-50 tonnellate non è un’impresa da poco: con una rete rischierebbe di affogare, (i cetacei respirano aria a differenza dei pesci) per non parlare dello stress della cattura, che spesso uccide anche animali al confronto più “gestibili” come i delfini.

Qualcuno propone di tentare di applicare una protesi avvicinandola in mare. Ma le balenottere sono “animali da corsa” e anche senza caudale Codamozza percorre qualcosa come 100 km al giorno. Altri, di farle un’anestesia “al volo” e operarla: i cetacei non possono essere anestetizzati perché hanno la respirazione volontaria, il che vuol dire che a differenza della nostra specie smetterebbero di respirare.

Darle da mangiare?

Codamozza è spaventosamente magra, o perché non riesce ad andare in profondità dove in genere cattura il krill, e/o perché ha un consumo energentico molto elevato per lo sforzo di nuotare senza coda, che è l’organo propulsore. Apparentemente infatti si aiuta con le pettorali e con un movimento di tutto il corpo. L’idea di darle da mangiare forse appare leggermente più proponibile. Nelle Filippine c’è un posto dove una decina di squali balena, che filtrano plancton in maniera molto simile ai misticeti, vengono foraggiati perché i turisti possano poi nuotare con loro. Codamozza dovrebbe mangiare da 1,5 a 2 tonnellate al giorno di krill (minuscoli gamberetti della specie Meganyctiphanes norvegica). Forse si adatterebbe a mangiarli morti, o glieli si potrebbero fornire vivi, e probabilmente li accetterebbe anche in superficie (in certe zone le balenottere mangiano anche lì). La difficoltà sarebbe trovare dove sia ogni giorno, dal momento che finora si è spostata in continuazione. Uno spiraglio: forse si fermerebbe nel posto in cui le si dà da mangiare? Questo implicherebbe comunque fornirle una enorme quantità di cibo per il resto della sua vita.

Questo ci dice il buon senso, la scienza, e l’esperienza che abbiamo con questi animali, certo ancora misteriosi per molti aspetti. Ho riportato i concetti senza alcun cinismo né rassegnazione alla morte del povero animale di molto degli addetti ai lavori. Anzi, non ho smesso un attimo di scervellarmi su cosa davvero si potesse fare. Spero ancora di svegliarmi una notte con improvvisamente un’idea a cui nessuno aveva pensato o che qualcun altro, non importa chi, se ne esca con una soluzione fattibile. Se servisse, il krill glielo andrei a portare a nuoto, di persona.

Intanto Codamozza naviga anche sui social, tra i commenti fantasiosi, commiserveoli o indignati dei fan. Facebook me ne propone una gran quantità; l’algoritmo notoriamente ti mostra quello che crede – spesso a ragione – che ti interessi. Il risultato è la cosiddetta echo-chamber. In soldoni: ti sembra che tutto il mondo non parli d’altro che di questo (nel mio caso Codamozza). La realtà però è ben diversa: moltissima gente non ha la più pallida idea di cosa facciamo ai mari, agli animali, all’ambiente, né cosa abbiamo fatto a Codamozza, quasi sicuramente vittima o di una rete o lenza, o di una collisione con una nave – e per ben due volte, dal momento che già più di 20 anni fa aveva una pmenomazione.

Quello che nel mio piccolo posso fare è raccontare questa storia, raccontarla raccontarla.

Urlarla.

Con post, articoli, interviste, libri e magari dipinti. Perché tutti sappiano e non ci siano più altre Codamozza nei mari.

Maddalena Jahoda

foto di Carmelo Isgrò, Museo del Mare di Milazzo

Scienziati da casa

Oggi la scienza si avvale sempre di più di non-scienziati per raccogliere dati, e a volte analizzarli. Si chiama “citizen science” e può avere le più diverse modalità, dal contare le balene che migrano lungo le coste al classificare nuove stelle, al trascrivere manoscritti. Per la ricerca, spesso a corto di fondi, soprattutto nei campi che hanno hanno grandi interessi economici alle spalle (lo studio dei cetacei è uno di quelli) spesso è un aiuto essenziale, e non serve essere esperti. Si può fare anche da casa e un sito che offre tantissima scelta è zooniverse. https://www.zooniverse.org : dal penguin watch alla scoperta di nuove galassie.

In “Balene salvateci!” se ne parla nel capitolo “Satelliti e videogames”.

L'Oceano della serie Nature is speaking

Ascoltate: l’Oceano ci parla

Capitolo “Salviamoci a vicenda”

… e ha da dirci qualcosa di importante. In un momento in cui tutti ci chiediamo dove andrà a finire il nostro pianeta, e la nostra specie in particolare, guardate questo breve ma efficacissimo video, parte di una serie geniale che si chiama “Nature is speaking” (Parla la natura) . Questo è quello sull’oceano, con la voce di Harrison Ford. E’ quello a cui faccio riferimento nel capitolo “Salviamoci a vicenda” del libro “Balene salvateci!” E’ in inglese, ma si capisce facilmente. In ogni caso, qui una traduzione

Peraltro, non è l’unico della serie: parla anche la natura, parlano i ghiacci, parlano un po’ tutti gli elementi che stiamo bistrattando. E vale la pena di starli a sentire!

#balenesalvateci #lemiebalene #mursia #MaddalenaJahoda #cetacei #balene #delfini #ambiente #sostenibilità #cambiamenticlimatici #effettoserra #tutelaambientale

La hit parade delle megattere

Perché le megattere cantano? Qui una bellissima infografica che lo spiega (in inglese). In sintesi: in acqua i suoni viaggiano 4 volte meglio che nell’aria; per contro, la luce penetra solo per pochi metri. Quindi i cetacei utilizzano ampiamente i suoni per comunicare. Le megattere hanno portato questa capacità ai massimi livelli, e si producono in vere e proprie canzoni, con frasi, temi e strofe. E, particolare che forse facciamo fatica a immaginare – non hanno bisogno di espirare per produrre suoni, perché riciclano l’aria che hanno nelle vie aree; ricordiamoci che tutto questo avviene sott’acqua, in apnea!

Chi canta sono i maschi, e si pensa che sia per attirare le femmine. E sembra che chi canta il motivo più “di moda” sia considerato più attraente. Sì, perché in ogni regione la hit parade è diversa e soprattutto cambia col tempo. Le mode si propagano da una regione all’altra e si evolvono…

Ma al di là di quella che a noi può sembrare una curiosità, cantare è importante per la sopravvivenza di questa specie. Ecco perché l’inquinamento acustico, che tende a coprire anche le frequenze utilizzate dai cetacei, può essere deleterio.

https://www.facebook.com/watch/?v=1349647328381803
cartello ristorante con carne di balenottera minore

Andate in vacanza? Non mangiate le balene!

“Di fatto, la bella balenottera che ammirate durante la gita di whale watching la mattina, nel pomeriggio potrebbe essere arpionata, squartata e proposta la sera come piatto fresco del giorno.”

Nel capitolo “I nuovi capitani Achab”, su un inaspettato e subdolo ritorno alla anacronistica caccia ai grandi cetacei: per proporla ai tursiti. NON ORDINATELA! Su questa pagina della Whale and Dolphin, la charity britannica per la protezione dei cetacei, tutti i dettagli (in inglese)

stenella con cucciolo morto

Un lutto insopportabile

“… un video, come quello girato nel golfo di Corinto, dove una femmina di stenella striata gira attorno a un piccolo morto, nella calma irreale di un mare piattissimo e sotto gli occhi umidi di un piccolo gruppo di volontari della ricerca di Dolphin Biology and Conservation.”

Nel capitolo “cetacei e figli” del libro “Balene salvateci!” si parla di come a volte le mamme di delfino (e di orca, vedi sopra) sembrano non riuscire a farsene una ragione della morte del loro piccolo e continuano a portarselo appresso, spingendolo in superficie come per farlo respirare. Qui il video citato, nel golfo di Corinto

Qui l’episodio nella Grecia ionica, documentato da Joan Gonzalvo, dell’Ionian Dolphin Project di Tethys:

rete di bolle vista dall'alto

Megattere a pesca con le bolle.

“Non è semplicemente circolare ma forma spirali in movimento, create soffio dopo soffio, che compaiono dalle profondità, si avvicinano e si espandono, in perenne trasformazione, come corolle bianche di grandi fiori sull’oceano (cap. satelliti e videogames)…”

Nel capitolo di “Balene salvateci!” sulle nuove tecnologie ho fatto un accenno ai droni, che catturano immagini che un tempo non avremmo nemmeno immaginato. Uno degli spettacoli, tra i tanti, è quando le megattere fanno la loro rete di bolle per intrappolarvi dentro i pesci e poi mangiarseli in un boccone. Viste dall’alto sono ancora più belle…

orca a Genova

La fine delle orche di Genova

La triste storie della famiglia di orche che alla fine del 2019 è entrata in Mediterraneo, stazionando nel porto commerciale di Genova Prà, ha tenuto banco su giornali e social. Al momento di andare in stampa con “Balene salvateci!” il cucciolo era morto, una delle femmine era scomparsa, il resto era stato avvistato nello Stretto di Messina. Ecco qui il seguito, aggiornato al marzo 2020.

Questo il seguito della vicenda: un mese dopo il maschio compare al largo del Libano; è solo, ma è sicuramente lo stesso, come confermano le foto delle sue chiazze bianche che permettono di identificarlo. Si tratta di Riptide, come lo avevano chiamato i ricercatori che per primi lo avevano “catalogato” nella lontana Islanda.

Pochi giorni dopo, una brutta sorpresa: un individuo si spiaggia morto nelle vicinanze; il corpo è troppo decomposto per averne la certezza, e manca la pinna dorsale, ma è più che probabile che si tratti di una delle femmine.

Riptide è rimasto solo: ha visto probabilmente tutta la sua famiglia morire, uno ad uno. Si trova in un mare che non conosce, solo e sta male. Dalle foto si vede chiaramente che è molto dimagrito, con un avvallamento dietro alla testa, simile a quello che avevamo notato in una delle femmine quando gli animali si trovavano ancora nelle nostre acque.

Mi ero confrontata con i colleghi islandesi e ci eravamo trovati d’accordo: le orche stavano morendo di fame, e una conferma era che il cadavere esaminato dai biologi libanesi aveva lo stomaco vuoto.

Riptide si rifarà vivo ancora una volta al largo di Haifa, in Israele, sempre vicino a costa, sempre emaciato…