Un caffè con le balene

Disponibile da qualche giorno, sia in streaming che trasmesso su varie televisioni in tutta Italia, l’intervista che mi ha fatto Claudio Campagnolo al Caffè Pedrocchi di Padova. La serie si chiama “Un caffè con l’esperto” e tratta degli argomenti più vari, con gli esperti, appunto, più disparati.

La mia naturalmente parla di delfini, di balene, dell’Istituto Tethys per cui lavoro da 30 anni, di Digital Whales – Balene a Milano, il progetto realizzato con Tethys Verdeacqua all’Acquario di Milano (e in tempi di coronavirus anche on line), e molto altro…

IL GRANDE SILENZIO

mare e onde

Uno dei primi posti in cui si erano sviluppati era in Cina, e più tardi le terre che circondano il mar Mediterraneo. All’inizio nessuno avrebbe pensato che la loro espansione fosse un fenomeno preoccupante, in fondo erano organismi come tanti altri, la cui presenza sulla terra poteva essere del tutto insignificante. Purtroppo sbagliavamo e avremmo pagato caro questo errore di valutazione.

Dalle prime regioni si diffusero presto, insediandosi in breve tempo in spazi sempre più ampi. Le colonie si allargarono a macchia d’olio e ne formarono altre, ancora più estese. Alcune divennero più grandi di quanto ci si potesse immaginare fino a invadere ogni lembo di terra disponibile. Solo le zone polari, coperte da ghiacci perenni, furono in parte risparmiate.

La letalità di queste nuove forme di vita si rivelò ben presto in tutta la sua devastante potenza; se ti prendevano di mira e ti colpivano, eri morto, o nella migliore delle ipotesi l’attacco con armi sempre più potenti, ti devastava il corpo irrimediabilmente abbandonandoti a una morte lenta e inesorabile. Intere famiglie, intere popolazioni furono così spazzate via, nel giro di pochissimi anni.

Tanto che a un certo punto eravamo così pochi che non valeva più la pena darci la caccia: loro divennero meno aggressivi, le vittime calarono drasicamente e gli attacchi mortali si limitarono ad alcune ben precise regioni: Giappone, Norvegia, Islanda, Isole Faroer. Negli altri posti, perlopiù ci ignoravano.

Non per questo la loro presenza non ha effetti: in ogni posto in cui vivono formano rapidamente delle “concrezioni” dure, molto estese, a volte anche molto alte, che impediscono alla vegetazione di crescere e di conseguenza a molti animali di avere un posto in cui vivere. Loro ci si riparano, e non sentono il freddo, il caldo, il vento, la pioggia. Un altro effetto di questi insediamenti è la massiccia produzione di gas e di calore.

Si pensava che gli umani fossero forme di vita esclusivamente terrestri, e questo aveva dato un falso senso di sicurezza a noi mammiferi marini. Ma la loro presenza in mare divenne costante, e qui si aggiunse un altro effetto: un rumore assordante. Delle strutture galleggianti, veloci e turbolente, sempre più grandi, riempivano ogni mare e ogni oceano. Spesso, si lasciavano dietro qualcosa di pericolosissimo: delle reti che imprigionano e soffocano qualunque animale vi ci finisca dentro, non solo balene e delfini ma anche tartarughe, pesci e uccelli marini. Dalla costa invece giungeva fino a noi una incredibile quantità di oggetti, di ogni forma e colore, che si spezzettano ma non si disintegrano mai. Loro la chiamano “plastica”.

Poi un giorno, improvvisamente, scese il silenzio. Le scatole galleggianti si fermarono, gli insediamenti smisero di produrre buona parte del loro calore e rumore. Noi cetacei tornammo a sentire le nostre voci e potevamo di nuovo comunicare da una parte all’altra dei mari; non c’era più il rischio di essere investiti quando tornavamo in superficie a respirare. I delfini tornarono ad andare a mangiare i cefali vicino alle coste, qualche balenottera si arrischiò fino nei porti, dove le scatole galleggianti dondolavano appena, saldamente legate alla riva.

Prima si era fermata proprio quella Cina da dove,  millenni fa, era partita la “civiltà” umana, poi toccò a una penisola a forma di stivale che si protende in un mare che – anche questo – loro chiamavano la “culla della civiltà”. Poi si fermò anche tutto il resto.

Gli umani che avevano invaso il pianeta, erano stati a loro volta colpiti da un potente virus. M.J.

cartello ristorante con carne di balenottera minore

Andate in vacanza? Non mangiate le balene!

“Di fatto, la bella balenottera che ammirate durante la gita di whale watching la mattina, nel pomeriggio potrebbe essere arpionata, squartata e proposta la sera come piatto fresco del giorno.”

Nel capitolo “I nuovi capitani Achab”, su un inaspettato e subdolo ritorno alla anacronistica caccia ai grandi cetacei: per proporla ai tursiti. NON ORDINATELA! Su questa pagina della Whale and Dolphin, la charity britannica per la protezione dei cetacei, tutti i dettagli (in inglese)

stenella con cucciolo morto

Un lutto insopportabile

“… un video, come quello girato nel golfo di Corinto, dove una femmina di stenella striata gira attorno a un piccolo morto, nella calma irreale di un mare piattissimo e sotto gli occhi umidi di un piccolo gruppo di volontari della ricerca di Dolphin Biology and Conservation.”

Nel capitolo “cetacei e figli” del libro “Balene salvateci!” si parla di come a volte le mamme di delfino (e di orca, vedi sopra) sembrano non riuscire a farsene una ragione della morte del loro piccolo e continuano a portarselo appresso, spingendolo in superficie come per farlo respirare. Qui il video citato, nel golfo di Corinto

Qui l’episodio nella Grecia ionica, documentato da Joan Gonzalvo, dell’Ionian Dolphin Project di Tethys:

rete di bolle vista dall'alto

Megattere a pesca con le bolle.

“Non è semplicemente circolare ma forma spirali in movimento, create soffio dopo soffio, che compaiono dalle profondità, si avvicinano e si espandono, in perenne trasformazione, come corolle bianche di grandi fiori sull’oceano (cap. satelliti e videogames)…”

Nel capitolo di “Balene salvateci!” sulle nuove tecnologie ho fatto un accenno ai droni, che catturano immagini che un tempo non avremmo nemmeno immaginato. Uno degli spettacoli, tra i tanti, è quando le megattere fanno la loro rete di bolle per intrappolarvi dentro i pesci e poi mangiarseli in un boccone. Viste dall’alto sono ancora più belle…